Quando Valentina, con il suo immancabile entusiasmo, mi ha proposto di partecipare ad una cena al buio, ero un po' scettico, non sapevo bene di cosa si trattasse, ne avevo sentito parlare ma non avendo mai partecipato, curioso come pochi, ho accettato senza battere ciglio. Un’esperienza molto particolare in cui tutti i 5 sensi sono coinvolti, o meglio, ne sono coinvolti 4, la vista, per una sera non è stata necessaria.
Una serata organizzata nel ristorante “Pane Nero”, un nuovo ristorante di cucina naturale e sana, gestito dalla cooperativa sociale “Tesori dalla Natura”, che ha trovato la sua location ideale in un antico casale di campagna ristrutturato.
Arrivati da Pane Nero, dopo un buon aperitivo (tutto a base di prodotti biologici) offerto sotto il portico del casale, Valentina ed io siamo entrati a gruppi di 4 persone in una stanza completamente buia e quando dico stanza buia, vuol dire che il buio era reale, non quella sensazione di penombra in cui si devono lasciare abituare gli occhi alla semi oscurità, un buio totale; per un nictofobico come me è stata una gran prova di coraggio e di autocontrollo, a differenza di due ragazze che appena sono entrate nella stanza sono dovute uscire immediatamente in preda a qualche forma di attacco di panico, una reazione capibile, ci siamo trovati in un ambiente sconosciuto, mai visto prima (almeno per me e la mia compagna di avventure), al buio, con persone con cui non avevamo mai scambiato due parole se non cinque minuti prima dell'entrata.
L’ingresso in sala, è stato possibile grazie all’aiuto di Daisy, che dopo averci fatto abituare al buio nella penombra di una stanza, ci ha accompagnati al nostro tavolo armata di binocolo ad infrarossi. Abbiamo camminato su percorsi invisibili, in fila indiana e ognuno con una mano sulla spalla della persona davanti.
Una grande prova anche questa, bisogna avere fiducia nell “angelo” che ti sta guidando, fidandoti di ciò che vede, senza sapere o conoscere chi ti sta attorno o gli ostacoli che puoi incontrare lungo il tragitto, le mani ed i piedi diventano subito essenziali e ci si rende conto come non sempre, li sappiamo usare con attenzione.
Una volta che Daisy, ci ha fatto accomodare ai nostri posti, subito, ho cercato di analizzare con le mani lo spazio che mi circondava, la ricerca del piatto, delle posate, dei bicchieri (due) che come da copione, durante la cena ho fatto cadere, del cestino del pane, delle mani di Valentina.
Il momento delle presentazioni con i commensali è stato comico, cercando di afferrarci le mani con le ragazze che avevamo di fronte, ovviamente io, ho rovesciato la bottiglia del vino rosso, ma non ci sono stati altri grandi danni.
E’ stato piacevolmente interessante capire come il senso della vista ci condizioni in modo quasi totalitario; durante la cena, ho sempre tenuto gli occhi aperti, spalancandoli, cercando di percepire qualche spiraglio di luce che mi desse sicurezza; non vedevo l’ orologio con le lancette luminose di Valentina (nascosto sapientemente nella borsa), il sensore di un allarme, il led di uno stereo, men che meno lo schermo illuminato di uno smartphone, niente, le tenebre avvolgevano l’intero ambiente; anche l’entrata della cucina era serrata da due tendoni scuri non permettendo neanche all’odore del cibo di arrivare ai nostri nasi.
Al mio fianco Valentina e a sinistra una ragazza di cui non ricordo il nome, che cercava di trovare il suo spazio vitale tastando incessantemente tutto ciò che era sul tavolo, a fianco di Valentina un ragazzo dal mutismo imbarazzante (probabilmente spiazzato dal clima di confidenza che si era venuto creare con degli sconosciuti), davanti a noi due ragazze simpaticissime e molto estroverse.
Dopo pochi minuti, abbiamo cominciato a prendere confidenza con la situazione, le chiacchiere hanno iniziato a farsi sempre più gioviali ed informali. Il tono della voce di tutti era alto, probabilmente in modo istintivo, per comunicare nel buio, a livello inconscio volevamo usare il sonar come fanno i pipistrelli per orientarsi. Al buio la forma e l’immagine perdono il loro preponderante significato e la sostanza delle cose, delle sensazioni e delle emozioni prendono il sopravvvento.
Tra una battuta ed una risata arriva il momento in cui i camerieri, dotati di binocoli ad infrarossi (ne comprerò uno), ci hanno servito la prima portata, un antipasto che consisteva in cannelloni di Sedano rapa con Tofu, besciamella (vegana) e brodo di cipolla con gomasio (composto da semi di sesamo tritati, tostati e salati).
Come primo piatto, dei chitarrucci di farro con ragù di verdure aromatizzate con spezie e curcuma, una specie di carbonara vegana, con listarelle di carota affumicata al posto della pancetta.
Il secondo piatto non mi ha entusiasmato, per una carnivoro come me una cena interamente vegana non può soddisfarmi a pieno; polpette di fagioli arrostite con succo di carota e polenta di riso Basmati integrale e spinaci.
Arrivati al dolce sognavo una torta Sacher o un bel Tiramisù, ma abbiamo gustato un purè di ceci aromatizzato con vaniglia e lime con mousse di pesca e mango, il tutto guarnito con due biscotti in cui, l' unico ingrediente di origine animale era il burro.
Tutti i piatti (fotografati a fine serata) sono stati preparati grazie alla creatività ed alla professionalità dello chef Marco Squizzato
Mangiare bene e nutrirsi in modo sano sono i due principi fondamentali che “Pane nero” vuole trasferire in ogni piatto, all’interno di un menù che, pur non rinunciando alla creatività e all’innovazione, da importanza ad ingredienti semplici e genuini. Promuovendo il valore e l’importanza del cibo sano e di qualità, in modo da sensibilizzare le persone ad adottare uno stile di vita sano, anche a tavola.
Mangiare al buio, un esperienza in cui gli altri sensi tentano di compensare ciò che la vista non riesce a percepire; l’olfatto mi diceva una cosa, il tatto tutt’altra e il gusto a sua volta, mi faceva percepire una sensazione completamente nuova ed inedita che ha spazzato via tutte le altre percezioni date dagli altri sensi.
Ad un certo punto per ogni portata ho deciso di tornare bambino e di provare a dare una pausa alle posate ed al Galateo, dilettandomi nell' usare le mani, portandomi il cibo alla bocca, con risultati rovinosi considerando che non vedendo, pur avvicinando la testa al piatto, mi sono impataccato la camicia con vari ingredienti della cena. Ingredienti sui quali si sono sprecate le chiacchiere per indovinare le spezie, la ricetta ed il condimento della portata.
Sono stato piacevolmente impressionato nel notare come i nostri occhi ed il nostro cervello influenzino almeno il 90% delle nostre scelte e dei nostri comportamenti, di come un "visivo" ed esteta come me, sia riuscito a non farsi condizionare da un immagine e come gli altri sensi, che alle volte diamo per scontato, riescano a farci percepire e a “vedere” le cose e le persone in modo totalmente diverso, in un modo non filtrato dagli occhi.
Alla fine della cena, dalla cucina sono arrivati i camerieri con delle candele in mano che hanno posizionato sui tavoli, lì i commensali che avevo di fronte e di fianco, hanno acquisito finalmente un volto, sono riuscito a dare un immagine a quelle voci con cui fino a pochi minuti prima avevo riso e scherzato con confidenza, come se ci conoscessimo da molto tempo.
Nel momento in cui i volti sono stati illuminati dalla flebile fiamma delle candele, è successa una cosa stranissima, tutti ci siamo un po imbarazzati, è calato il silenzio (prima il chiacchiericcio sguaiato che invadeva le nostre orecchie era assordante). Alla luce ci guardavamo scrutandoci, forse pensando con rimorso alle battute e alle risate che ci eravamo fatti, ma da quel momento in poi mi è sembrato che tutti avessimo indossato nuovamente le nostre maschere del pregiudizio.
Persone con le quali avevo allegramente parlato e scherzato un momento prima, si sono irrigidite quasi paralizzate dalla luce, abbiamo iniziato ad osservare il locale, la distanza dei tavoli, le persone sedute e la posizione dell’arredo.
C’è stato chi ha riso fragorosamente, chi finalmente ha iniziato a parlare (forse perché il buio ha reso inconsueta la socializzazione), chi invece ha ritratto la sua locquacità nel silenzio, quasi incatenato ai pregiudizi estetici che molto spesso frenano le relazioni ed il relazionarsi.
Tornando alla luce, i 4 sensi che avevamo utilizzato fino a poco prima sono stati surclassati dalla vista, il senso che ho sempre considerato di importanza primaria ed insieme a lui, è tornata la razionalità che per un breve periodo aveva abbandonato la mia mente, cancellando quasi completamente ciò che il dialogo ed il tatto avevano costruito prima.
L’obbiettivo di questo particolare tipo di serate, è riuscire a capire, come nel caso dei non vedenti, gli altri sensi si rinforzino, come la parola, il tatto, l’udito ed il gusto siano gli unici mezzi per potere comunicare ed esprimere le nostre emozioni, una comunicazione non visiva che ormai, per chi non prova un esperienza come questa, è diventata una cosa rara.
E’ difficile spiegare le sensazioni che si possono provare partecipando ad una cena al buio, perché ogni volta, ognuno dei partecipanti vive un esperienza che dipende molto dal proprio carattere e dalle alchimie che si creano nel buio.
Un’esperienza che consente di capire il grande valore dei nostri sensi e del nostro essere multisensoriali, scoprendo il significato di riuscire a giudicare una persona, un gusto, un suono o una sensazione al di là delle apparenze.