Sono nato e cresciuto in città, ho passato la mia infanzia e la prima adolescenza in compagnia di ragazzi e ragazze, figli della cosiddetta “crema” della città.
Passavo le mie giornate dopo scuola sempre fuori di casa, da un negozio all’altro, da un bar all’altro da una discoteca all’altra e da una vacanza all’altra.
Diciamo che a parte qualche episodio poco piacevole, la mia gioventù è stata abbastanza spensierata, ma anche se sono sempre stato considerato “un figareo del centro” (simpatico epiteto veneto, coniato per identificare i ragazzi viziati e figli di papà), non mi sono mai identificato in tale pensiero, anzi, sono sempre stato uno spirito libero, poco paziente e incostante a mantenere i ruoli che mi venissero imposti. Forse è per questo che fin da bambino, quando dovevo ritagliarmi degli spazi tutti miei, andavo e vado tuttora, nella casa in campagna di famiglia. Una Villa con tanto di barchessa annessa che risale ai primi anni del 700, di proprietà della mia famiglia da generazioni.
Ogni volta che sentivo il bisogno di libertà, scappavo dalle mie zie (uniche due discendenti rimaste della famiglia di nobili dalla quale derivo… dico sempre che non ho il sangue blu…ma il sangue puffo, molto annacquato ormai), parcheggiavo lo scooter sotto il portico di quelle che all’epoca erano le stalle, mi mettevo gli stivali di gomma, liberavo i 5 cani da caccia e aprendo il gigante cancello in ferro battuto correvo verso i campi con un senso di libertà che provavo solo in quei momenti.
Mi divertivo a costruire piccoli ponticelli con i ramoscelli per guadare i fossati che c’erano tra un campo e l’altro, cercando di catturare rane o scoprendo nidi di uccelli sugli alberi o nei cespugli più bassi, per accarezzare ed osservare i pulcini. I quei momenti mi sentivo in pace con il mondo, libero di essere me stesso e senza etichette da rispettare, mi addormentavo sulle balle di fieno appena tagliato, scaldandomi al sole e respirando l’aria salubre.
Alla fine dell’estate le mie zie mi chiamavano avvisando che da lì a pochi giorni, ci sarebbe stata la vendemmia (all’epoca avevamo un vigneto sterminato e la vendemmia era una festa immensa per chiunque nel paese). Io e mio fratello ci armavamo di forbici e passavamo le giornate a raccogliere uva (ogni grappolo raccolto da noi, non arrivava integro al camion per la raccolta ma, qualche acino spariva nelle nostre fauci).
Nel periodo autunnale, mi sono sempre divertito ad invadere le capanne dei cacciatori (all'epoca il fratello delle mie zie, lo zio Antonio e amici), costruite in punti strategici della campagna e a distruggerle, in modo che al loro arrivo perdessero tempo a ricostruirle, facendo guadagnare qualche ora di vita in più agli sfortunati animaletti che gli capitassero sott’occhio.
Ho sempre avuto un amore viscerale per la campagna e per gli animali, ricordo che al mio ritorno da ogni scorribanda agreste, le mie zie, mi davano il divieto di entrare in casa per evitare di inzaccherare i marmi del pavimento, mi facevano spogliare dei pantaloncini, maglietta e stivali imbrattati di fango e posizionandomi al centro del giardino mi facevano lavare con violente secchiate di acqua rigorosamente gelata o direttamente con la pompa per annaffiare i meravigliosi fiori che il giardiniere Gianni curava con tanto amore e dedizione.
Una delle mie zie, la Teresa, che mi ripeteva costantemente: “Come fai a sporcarti cosi tanto? non puoi tornare in città in queste condizioni, cosa dirà la gente?”
Ah, sono cresciuto nell’ incubo di ciò che poteva pensare la gente… anche adesso la zia Francesca, ormai 95 anni suonati, ma con uno spirito che fa invidia a molti ragazzi, quando vado a farle un saluto, oltre la sua tiritera nel ricordarmi le origini della famiglia e i fasti di un tempo, non manca di farmi notare: “beh... hai tutti i pantaloni rotti, hai bisogno di soldi per comprarne un paio di decenti? Ricordati della famiglia dalla quale vieni, cosa diranno in paese se ti vedono così? Il nipote delle contesse che va in giro con le pezze al culo! Magari costano anche un patrimonio! Ma come si può andare in giro così, voi giovani siete tutti uguali, anche in TV vedi quelle sciacquette mezze nude…”; poi vede il mio sorriso e ridendo a sua volta: “ah sono proprio vecchia e rincoglionita…brontolo sempre, non importa, i tempi sono cambiati, una volta le regole erano più rigide, la vera classe si ha dentro.”
Come darle torto, pur essendo un cittadino, il mio cuore è in parte campagnolo e grazie anche a lei, ho imparato che la vera classe è sapersi adattare a tutte le situazioni, da una cena al St. Regis a Manhattan (che tra l’atro conosco bene, grazie ad un regalo di laurea ed una vacanza fatta tra new York e le isole Keys nel 2007) ad una serata passata a ridere e scherzare in una sagra paesana.
Occhiali: D.Franklin / Camicia: Vivienne Westwood / Bermuda: Imperial Fashion / Mocassini: Cesare Paciotti / Cintura: Gucci