Ci sono muri di gomma che almeno una volta nella vita tutti abbiamo dovuto affrontare o affronteremo. Sono altissimi, tanto da non vederne la fine, levigati come la porcellana, scivolosi come una saponetta bagnata, impenetrabili come uno scudo del metallo più resistente, non fanno filtrare la luce, non hanno un piccolissimo pertugio dal quale tu possa vedere attraverso, rimangono immobili in tutta la loro "flaccida" possanza.
Stanno ben piazzati ed inamovibili, senza darti la speranza di poter capire come attraversarli, li studi, li tocchi, provi a parlare con la persona che sta al di là di quella barriera che, con il tempo, è diventata sempre più inespugnabile. Prendi il tuo cuore in mano e cerchi in tutti i modi di farlo vedere e far sentire il suo battito a chi si trova oltre confine, ma niente, provi a lanciarlo al cielo, ma torna indietro e ricade rovinosamente a terra con un boato che solo tu puoi sentire, il muro impedisce anche ai suoni di oltrepassarlo; urli, piangi, batti i pugni contro quello sbarramento, ti sembra impossibile possa essere stato edificato in maniera cosi machiavellica. Le tenti tutte, prendi una una bella rincorsa, una spallata e niente, rimbalzi, una seconda spallata ti si polverizza la clavicola, provi a prendere fiato e a sopportare il dolore fisico che non è nulla in confronto al dolore della sconfitta di non poter lanciare il tuo cuore oltre all’ostacolo. Riponi il tuo cuore nel petto, ennesima spallata, inizi a sanguinare ed il muro quasi all’unisono, inizia sanguinare come te. Provi a saltarlo trovando qualsiasi mezzo, un tappeto elastico, un asta per potere raggiunger con un salto olimpionico il suo limite, un elicottero… nulla… ogni volta che ti sembra di essere vicino al suo apice, il muro cresce sempre di più.
Passi alle maniere forti, afferri un piccone e lo colpisci con tutta la forza che ti rimane nell’anima e nel corpo, ma anche lui rimbalza colpendo te proprio al cuore, un martello pneumatico, qualche sobbalzo come quando si getta un sasso in un lago, le onde si propagano, ma nel punto dove il sasso è caduto, l'acqua è tornata piatta e nulla di più, un trapano da cantiere con la punta che inesorabilmente si rompe. Sembra che nulla possa scalfirlo.
Fai un ultimo tentativo, provi a camminare lungo il suo perimetro, sempre con il tuo cuore in mano, tentando di trovare la sua fine, ma anche questo risulta vano, dopo chilometri e chilometri che cammini e prendi calci quella barriera urlando e incazzandoti, non hai più energie di rimbalzare su quella parete che ti divide da chi devi e vuoi amare, aiutare e capire.
Hai combattuto, hai sanguinato, hai curato, hai cercato di comprendere, hai pazientato, hai parlato, ti sei arrovellato il cervello, ti sei colpevolizzato, hai promesso e, alla fine, hai ceduto alla stanchezza e al vuoto che la speranza scomparendo, ha lasciato dentro di te.
Ti disperi, getti la spugna andandotene e piano piano, voltandoti ad ogni passo nell' eventualità di vedere qualche segno di cedimento che ti porterebbe a riprovarci, ti allontani dal muro domandandoti il perché della tua sconfitta contro quell'immenso pezzo di gomma che fino a poco tempo prima non esisteva e che forse, solo il tempo o un’ altra persona riuscirà ad abbattere.
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