VA DI MODA IL BRUTTO, UN FREAKSHOW CONTINUO PER ESSERE CHIUNQUE MA NON NOI STESSI

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Va di moda il brutto, il grottesco diventa moda, tutto sembra il riflesso delle brutture, della cattiveria, del caos della società e dei problemi interiori di chi la vive, lo vedo ovunque e non mi rimane che farmene una ragione.

Dalle passerelle, alle strade delle città fino ad arrivare alla televisione, sembra che quello che un tempo era considerato di cattivo gusto, volgare o ad esclusivo appannaggio di un' "élite" ristretta, limitata e provocatoria, un mondo da bannare e lasciare nelle retrovie, ora, sia stato sdoganato per permeare ogni settore della società ed essere sfacciatamente alla mercé di tutti.

Tutto assume le sembianze di una caricatura, un bisogno impellente di sdrammatizzare-drammatizzando, una sorta di esorcismo per gridare al mondo di essere diversi da tutti, che siamo unici, che non ci prendiamo troppo sul serio; uomini e donne che esasperano una realtà che non è parte di loro, che pur di essere qualcuno sono disposti ad essere chiunque pensando invece di distinguersi.


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 Il brutto viene capito (ancora) da pochi ma ormai, accettato e forse tacitamente apprezzato da tutti; tutti ne abbiamo repulsione ma allo stesso tempo ne siamo attratti ed incuriositi, un po’ come avviene con gli incidenti stradali, sappiamo che potremmo assistere a scene raccapriccianti ma la morbosa curiosità ha il sopravvento e ci mettiamo a sbirciare.

 Forse siamo assuefatti al bello e non lo riconosciamo più come tale dandolo per scontato o probabilmente siamo arrivati al punto che per darci uno scossone emotivo abbiamo bisogno del brutto per percepire qualche brivido vitale, emotivo e creativo?

L’accettazione del “non bello” non ha un vero significato, è fine a sé stessa, la provocazione nel fashion, l’ignoranza e la maleducazione nel mondo televisivo, la mancanza di valori ed etica nella società sono caratteristiche sempre esistite e sempre esisteranno ma sono rimaste in vita e “sconvolgenti” perché a spot, una tantum.

 Il loro valore risiede nel concetto che negli anni passati non sono diventate normalità e quindi non abbiamo fatto a tempo ad abituarci alla loro presenza, diversamente dei giorni nostri, tanto da sembrare quasi che lo sgradevole e la provocazione debba per forza di cose essere presente al fine di farci aprire gli occhi su quello che ormai ci ha resi assuefatti.

Paradossalmente protraendosi nel tempo ci assuefaremo, se non è già successo, anche al brutto in tutte le sue forme (ne ho già scritto abbondantemente in questo post) e quindi non farà più notizia neanche quello.


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Il brutto, fino a poco tempo fa, era una specie di status symbol, quel qualcosa che anche se non accettato e compreso, creava quel non so che di morbosamente “attraente”; ora ha perso anche questo fascino perché si tende a rendere normalità (odio questa parola) tutto e ad accettare ciò che non lo è.

 Sarò all’antica, ma il detto “la bellezza sta negli occhi di chi guarda” è un’emerita scemenza, la bellezza è bellezza! Punto.

Il bello è oggettivo, sono il gusto e lo stile a rimanere soggettivi, qualcosa di bello lo riconosciamo tutti, è nel nostro dna essere consapevoli del bello che ci circonda, delle giuste proporzioni e dell’armonia delle forme ma, ci viene imposto di vederlo anche dove ci sono disarmonia, disordine e sproporzioni.

Rimanendo nel mondo del fashion, anche i modelli e le modelle sono cambiati, non incarnano più il classico stereotipo della mascolinità e femminilità, tutto è mischiato; uomini dalle sembianze femminine e donne dall’aspetto androgino, fisici emaciati, visi smunti e camminata da morti viventi ci fanno rimpiangere i belloni e le bellone degli anni ’80  e ’90. Tutto deve essere esasperato, portato all’estremo per godere di un’effimera notorietà destinata a morire.

 Tutto è senza carattere e personalità, ma il messaggio che si vuole far passare è l’esatto contrario, si vuole “urlare” una forza che non si ha, mostrandola ma non dimostrandola.

 Ormai per essere notati bisogna generare sdegno negli altri, attirare l’attenzione con il ridicolo; anche le maison più blasonate hanno adeguato il proprio standard a questo esagerato bisogno di abbracciare il mood caricaturale.


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 Forse è un modo per farci diventare coraggiosamente anarchici con esperimenti fashion che con lo stile, la classe e la sartorialità hanno ben poco a che fare.

 Tutto assume un significato diverso o addirittura lo perde quando, paradossalmente, il significato che si vuole dare è molto maggiore di ciò che si pensa.

Dite quello che volete, ma io, continuerò ad avere il mio stile, i miei valori e ad essere pieno di paranoie se non ho le scarpe intonate alla cintura, a dosare bene i colori e le proporzioni di ciò che indosso senza sentire il bisogno di distinguermi attirando l’attenzione… penso di farlo già abbastanza con la mia personalità e non ho bisogno di un capo di Vetements che mi serva da catalizzatore d’attenzione.

Se in futuro, non dovesse essere così, abbattetemi. Grazie.


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