DEL DOLORE E DELLA SUA PATETICA SPETTACOLARIZZAZIONE

Ormai sembra che il dolore, di qualsiasi tipo esso sia, debba essere spettacolarizzato. Non lo si racconta, non lo si narra al fine di aiutare, con la propria esperienza, chi può trovare ristoro in quello che si vive o si è vissuto; tutto deve essere esagerato a livello comunicativo, ostentato nel vano tentativo di esorcizzarlo e renderlo con faciloneria meno grave e amaro. 

Siamo arrivati ad un punto in cui non si parla più del dolore per fare riflettere, per scavare dentro di noi, per porre interrogativi a noi stessi e portare a riflessioni diverse da quelle a cui siamo giunti.

Spettacolarizzando il dolore, che sia dovuto ad una morte, ad una malattia o ad un fatto drammatico, sembra quasi che si voglia condividerlo con il mondo, un modo per confrontarsi o trovare quell’appoggio morale di cui si sente il bisogno, anche se in alcuni casi lo sconforto dovrebbe essere vissuto in modo intimo e privato e non reso un mero intrattenimento da avanspettacolo.

La questione si pone quando qualsiasi tipo di dolore viene gettato in pasto al pubblico tramite ogni sorta di canale di comunicazione e quel che più è sconcertante, è il modo e l’atteggiamento con cui viene fatto.

C’è un qualcosa di macabro in questo, il mondo digitale sta cambiando radicalmente i valori, l’intimità e il modo di affrontare la sofferenza; rendere alla stregua di un circo ogni evento provocato o subito, è un bisogno impellente.

Anche nel caso della sofferenza provata di fronte ad una malattia grave come il cancro, se non si condivide il malessere in pubblico, se non si divulga la notizia a gran voce e il più delle volte comunicandola in modo sbagliato, questa è quasi se non esistesse o se non esistesse la persona che ne soffre; un paradosso sconcertante, si soffre di una malattia grave, il desiderio più grande è quello che non ci fosse, eppure si fa di tutto per darle forza. Certamente è un modo per enfatizzare e dare importanza ad una cosa da sconfiggere che però, considerandola in modo superficiale, l’unico modo di debellarla e farle perdere potere pare sia quello di renderla uno show, santificarla, minimizzarla e considerarla come “un dono” dandola in pasto al popolo del web e non solo.

Tutto è spettacolo, ecco perché ad ogni morte di personaggio famoso si continuerà a fare sfoggio di (finte) condoglianze e ipocriti epitaffi sciorinati in ogni dove, ad ogni notizia di persona colpita da gravi malattie dovremmo fare sentire la nostra presenza in modo patetico e magari scongiurare con le più becere affermazioni da bravi cristiani i possibili risvolti negativi del caso.

Sarebbe ora di finirla di sdrammatizzare tragedie e minimizzare sciagure travestendole da opportunità per una vita migliore. Sarebbe ora di ridimensionare il tutto a quello che è chiamato dolore  e il dolore va vissuto come tale, non come un’esibizione per di più comunicata in maniera pessima.

Si sta perdendo il “dono” di non pretendere che le proprie esperienze e il proprio vissuto vengano condivise con il mondo e che ciò che noi siamo riusciti ad affrontare e a vedere in un certo modo valga per tutti.

Non è così, ogni caso è a sé stante, ogni esperienza ha un valore unico che non deve diventare tragicomicamente parte dell’ostentazione continua.