UN SALUTO RUBATO DA ME

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Sono sempre stato un tipo allegro ma non spensierato, molto riflessivo, polemicamente instintivo e riservato, ho sempre trasmesso allegria a chi mi è vicino anche quando questa manca dentro di me e, considerata la mia grande riflessività, stavo pensando che per due o tre anni ho avuto qualche problema con il saluto. Salutare ed essere salutato dalle persone mi metteva a disagio.

Purtroppo in un determinato periodo della mia vita, per varie vicissitudini troppo lunghe da raccontare, ho smesso di salutare; non lo facevo per spocchia o per maleducazione verso chi non conoscevo, ma più che altro per paura che quel cenno potesse essere la scintilla per un’eventuale “Ma chi ti conosce? Questo chi è? Cosa vuoi?”, come è già successo tra l’altro. Forse una sorta di barriera per non rimanere ferito dalle reazioni delle persone, oppure, l’opzione più probabile, il mio non volere essere avvicinato da qualcuno che avrebbe potuto regalarmi qualche sorta di emozione, positiva o negativa che fosse evitando codardamente la cosa.

Superati quegli anni di tremenda insicurezza e timidezza in cui, oltre a tenere sempre lo sguardo ben puntato verso terra e le spalle goffamente arricciate sul collo, somatizzavo fisicamente tutta quella pressione. Col tempo e crescendo, ho capito che troppe persone rimangono spiazzate da un saluto, un cenno o un sorriso improvviso e inaspettato.

Così, ad inizio estate ho lanciato una sfida a me stesso, salutare a caso sconosciuti per strada ( più o meno come si fa nei sentieri di montagna), non che ora abbia problemi a salutare e a relazionarmi, anzi quando inizio a parlare si salvi chi può, ma ho voluto vedere le reazioni delle persone, quelle reazioni che anche io da ragazzo non ho risparmiato a più di qualcuno. Ben conscio di potermi prendere del maniaco, dello squilibrato, di essere ghiacciato con sguardi compassionevoli o considerato un povero demente, ho affrontato la sfida.

Ho documentato il tutto su Instagram Stories, proprio perché sentivo il bisogno di fare capire come ormai, ci siamo totalmente chiusi in noi stessi, quanto siamo prevenuti nei confronti degli altri e quanto un “Buongiorno signora, la sua borsa è meravigliosa, complimenti” possa destabilizzare le persone.

Dopo avere passato un paio di giorni immerso nel mio esperimento, essermi preso del poco di buono, essere stato freddato da occhiate di disprezzo, essere stato corrisposto di sorrisi e saluti, aver ricevuto una stretta di mano dalla signora della borsa ed essermi sentito dire: “Come ti chiami? Perché stasera mi voglio ricordare di te e del tuo sorriso”, essere stato definito stalker, avere rimediato un numero di telefono ed essere stato mandato allegramente a quel paese da un vecchietto iracondo, mi sono reso conto che più che chiusura c’è stata un’inaspettata apertura, un senso di umana coscienza nel ricambiare il sorridente saluto e nel semplice augurio di passare una buona giornata.

Tralasciando gli aspetti negativi del mio esperimento ho riscontrato un bisogno di parole rassicuranti, voglia di raccontarsi e necessità di essere sorpresi. Tutto questo ha spiazzato anche me e mi ha dato la conferma che ognuno di noi, nessuno escluso, per quanto possa trovarlo strano, rimane con un cenno di sorriso sul volto dopo essere stato salutato da uno sconosciuto per strada.


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Occhiali: Ray-Ban / Camicia: Zara  / Pantaloni: Imperial Fashion  / Scarpe: Light In The Box Giubbino: Zara / Maglione: Alexander McQueen (anche se non si vede)

 

Location: Orto Botanico di Padova